Sapeva
che quel giorno sarebbe arrivato. Aveva immaginato un’infinità di
volte la telefonata, il timbro di voce, ma solo quando le cose
avvengono davvero hanno il potere di sconvolgere la mente e bloccare
lo stomaco. Allora tutto quello che avevamo pensato si cancella, come
se la notizia ci avesse colto di sorpresa.
Maia
era abituata a svegliarsi di soprassalto. Con la sua attività, le
chiamate notturne erano abbastanza frequenti, ma sussultava comunque
a ogni odioso
trillo del telefono. Proprio come la settimana precedente.
«Sono
Daniele. Stavi dormendo?»
«
No! A quest’ora faccio sempre la danza del ventre per tenermi in
forma.»
«Scusa
la domanda idiota. C’è stato un omicidio alla periferia nord di
Milano. Una pattuglia è già sul posto. Ci aspettano. Passo a
prenderti tra dieci minuti.»
Erano
spesso così le sue notti, ma a Maia non importava. Adorava così
tanto la sua
professione da farsi coinvolgere emotivamente. Daniele le suggeriva
sempre di non prendersela. Lui ci riusciva, anzi le scene del crimine
erano spesso uno spunto per gli incipit di qualche giallo che si
divertiva a scrivere nel tempo libero.
Questa
volta era diverso, la telefonata di quella notte martellava tra i
suoi pensieri senza sosta.
Ancora
a bordo dell’aereo per Catania sentiva e risentiva, come un
ritornello, le parole dell’avvocato: "Signorina, sua nonna sta
molto male. È meglio che lei si affretti, se la vuole salutare.”
Le
nubi sotto di lei: una distesa desolata, come i suoi ricordi. Una
persona a lei cara giunta al capolinea della vita, unico legame con
la sua infanzia, il suo passato e un luogo dal quale era fuggita con
la speranza di dimenticare e di ricominciare.
Le
sembrò di provare ancora quella fitta, quel dolore fisico. Ricordò
di essersi alzata barcollando, con il cuore che pulsava violento nel
petto. Era andata in bagno e lo specchio le aveva rimandato
l'immagine del suo volto, i lineamenti rigidi e il pallore dell'
incarnato esternavano la tristezza celata nel suo animo.
Per
scuotersi dal torpore, lanciò un'occhiata fuori dall'oblò pensando
al caso cui stava lavorando. Non riusciva a concentrarsi nonostante
la professione fosse il fulcro della sua esistenza.
Non
aveva altro: tempo libero azzerato dalla passione con cui affrontava
il lavoro. Amici pochissimi, tranne Daniele, il collega che, attratto
da lei, spesso la invitava a uscire, senza alcun successo. Lui era
convinto che alla fine sarebbe riuscito a rimuovere quella cortina di
difesa che Maia aveva eretto
attorno a se
stessa per chissà quale motivo.
La
sua era solo paura, un’immane paura di lasciarsi andare ai
sentimenti. Ed era vero. Maia aveva svuotato la mente e il cuore da
molto tempo. Non avrebbe mai più
avuto un amore, un
fidanzato, un figlio, nessun legame che avrebbe potuto spezzarsi.
Perché il segreto per la felicità è non avere nulla da perdere,
nulla che qualcuno possa portare via. Si era rinchiusa in una specie
di bolla invisibile che la proteggeva dal mondo e non lasciava
trapelare nulla di se stessa. Nessuno conosceva il suo passato,
neppure Daniele.
Una
violenta turbolenza la destò dai suoi pensieri facendola sussultare.
Aveva timore di volare e quando era costretta a prendere un aereo
doveva lottare per non farsi cogliere dal panico. L’hostess, quando
la vide impallidire, si avvicinò rassicurandola che si era trattato
solo di un vuoto d’aria e che era tutto sotto controllo.
Chiuse
gli occhi e cercò di recuperare un po’ di calma. Poi altri
pensieri tornarono a turbare la sua mente.
Riuscirò
a vedere la nonna viva? A parlarle? So che mi ha voluto bene, anche
se non l’ha mai dimostrato. Adesso la sto perdendo per sempre.
«Desidera
qualcosa signorina?» La voce dell’hostess la fece trasalire.
«Come,
scusi?»
«Le
ho chiesto se desidera qualcosa. Da bere forse.»
«No
grazie. Si, invece, scusi: mi dia dell’acqua frizzante per favore.»
Le
stava tornando il mal di testa. Quando si dorme due o tre ore per
notte non c’è da stupirsi. Aprì il tubicino delle pillole che
aveva acquistato in aeroporto. Un farmaco nuovo, le avevano detto,
molto efficace. Fece scivolare nel palmo della mano due compresse,
prima una e poi l’altra. Nel riporre la scatolina in borsa osservò
il nome stampigliato: FarmaMuller, una casa farmaceutica che non
conosceva. Prese le compresse confidando nel loro effetto.
Si
concentrò ancora sull’incartamento riguardante l’ultimo delitto
che l’aveva sconvolta, nonostante i suoi quindici anni di
esperienza nella scientifica. Era entrata in polizia come agente
semplice, seguendo un addestramento standard. Data la passione per la
fotografia, aveva frequentato in seguito un corso di specializzazione
entrando nella squadra dei sopralluoghisti. Quella professione le
piaceva molto e per questo aveva abbandonato l’idea di proseguire
gli studi. Si occupava di fotografare ogni scena del crimine nei
minimi dettagli con estrema accuratezza, di raccogliere le prove e di
ricostruirla poi in laboratorio.
In
questo ultimo
caso era
coinvolta una bambina di dieci anni che aveva assistito impotente
all’omicidio della madre. L’assassino, penetrato dalla porta sul
retro, aveva chiuso in cucina la piccola che purtroppo aveva
osservato la scena senza poter intervenire. Il malvivente
si era scagliato
sulla madre, tentando di violentarla ma, vista la sua strenua
resistenza, l’aveva strangolata, dileguandosi subito dopo.
Un
omicidio che l'aveva impressionata, soprattutto perché coinvolgeva
una bambina e scatenava in lei dolorosi ricordi. Non era mai riuscita
a superare il trauma che l'aveva segnata da piccola, forse perché
non voleva dimenticare, e il dolore che si portava dentro era la sua
forza per andare avanti.
Ancora
una volta la sua mente tornò alle fredde parole dell’avvocato.
Ripensò alla sua reazione e alla fretta con cui aveva preso quella
decisione.
Dopo
aver avvisato la Questura per chiedere la licenza, aveva buttato nel
trolley pochi vestiti alla rinfusa e i suoi effetti personali. Era
uscita dal portone della palazzina in via Lusardi, ignorando la
portinaia che come il solito non si faceva i fatti suoi, salendo sul
taxi quasi al volo.
L’anziano
conducente, sorpreso dal comportamento della giovane donna, durante
il tragitto aveva lanciato qualche occhiata dallo specchietto
retrovisore: un viso dai tratti severi, occhi verde smeraldo che
campeggiavano su una massa di riccioli neri e sguardo di ghiaccio.
Al
piazzale dell'aeroporto, quando Maia era scesa dal taxi, l'uomo si
era attardato sul suo singolare abbigliamento: giaccone di pelle
nera, pantaloni sportivi infilati in un paio di stivali senza tacco.
Era poi ripartito scuotendo la testa.
"Perché il segreto per la felicità è non avere nulla da perdere, nulla che qualcuno possa portare via". Intenso, scorrevole, mantiene ciò che promette :)
RispondiEliminaGrazie Paola.
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